Gli Hedge Fund (HF) stanno concentrando le proprie intenzioni di acquisto sulle società non quotate, ritenendo pertanto che quest’area del mercato, non certo ben instradata nell’industria sino a qualche temp fa, possa da qui in avanti garantire loro determinati margini di guadagno così come accaduto ai “rivali” del Private Equity (PE).
Gli HF stanno infatti tentando di investire in società non quotate, in rapida crescita, particolarmente nel settore tecnologico. Un altro settore che attira l’attenzione degli HF, sono le società “private” dell’Healthcare e quelle del digitale. Stiamo in entrambi i casi parlando, e comunque in generale per quanto attiene questa propensione delle case di HF nei confronti delle “private companies”, del mercato nordamericano e più nello specifico di quello statunitense.
Uno dei trader di maggior successo al mondo, “Platt”, ritiene che in questo momento il Private Equity americano costituisca un comparto in “focus” relativamente ai propri investimenti.
Un altro mostro sacro, per lungo tempo a capo del PE di “Elliot Management”, in una lettera relativamente recente ai propri investitori evidenzia che possedere partecipazioni in società private rappresenta una delle migliori opportunità di investimento in questo momento.
Una delle principali ragioni che inducono almeno una parte dell’industria degli HF a guardare con attenzione ed interesse il PE è costituita dall’esponenziale crescita di questo settore dal 2010 alla fine del 2020. Infatti in questa decade i volumi del PE sono passati da due a ben sette trilioni di dollari, secondo quanto riportato da Morgan Stanley. Nello stesso periodo il mondo degli HF è passato da 1,9 a 3,6 trilioni di dollari, e le performance sono risultate spesso “latitanti”.
Un motivo chiaro per cui la recente tendenza vede gli HF investitori in entrambe le aree “public” e “private” è da collegarsi alla maggiore ed aggiuntiva catena di informazioni complementari e fondamentali che i gestori possono ricavare dalle società non quotate rispetto alle società presenti sui listini di borsa, per contro inquadrate in severe regolamentazioni e reportistica periodica, nonché relativamente standardizzata.
Oltre a quanto sopra anche la possibilità di bypassare le sempre sovra frequentate arene delle IPO.
Certamente un’ulteriore ragione che spinge i manager degli HF a considerare con occhio particolarmente favorevole il mondo del PE è la possibilità di coinvolgere l’investitore e di “bloccarlo” nell’investimento per un periodo relativamente lungo. Con ciò essere conseguentemente non sottoposto a costante stress da performance e poter essere giudicato nel lungo termine.
Questo significa, non solo, ma “anche”, salvaguardare il proprio percorso di carriera.
“Segnali di fumo” anche per gli investitori europei e nostrani i quali, sotto la guida dei loro Consulenti Finanziari, potrebbero e dovrebbero considerare le opportunità di accesso al mercato del Private Equity che anche a livello domestico vengono attualmente selezionate, proposte e messe in campo dai principali operatori.