E’ inutile che ce la raccontiamo.
Anche per i più sprovveduti; per tutti coloro che non entrano, o lo fanno molto raramente, al supermercato, è evidente l’indiscriminato aumento dei prezzi su una vastissima gamma di prodotti: praticamente su tutto. Si parte da quelli alimentari, cominciando con quelli di prima e primissima necessità, come il pane ed il latte, per arrivare ai detersivi e più in generale ai prodotti per la pulizia della casa e l’igiene della persona.
Aumenti anche importanti che hanno contribuito in termini non indifferenti alla riduzione del potere di acquisto di ogni famiglia.
Tradotto: a parità di stipendio o pensione è evidente che i beni che si possono acquistare siano inferiori a quanto si poteva fare un anno fa o pochi mesi prima.
Se ne parla, anzi se ne straparla da mesi.
Si chiama “Inflazione”. Un aumento generalizzato dei prezzi apparentemente causato dall’offerta ovvero dalla parte dei produttori di beni e servizi che accusano da parte loro le aumentate difficoltà di accesso al credito per via delle restrizioni degli enti creditizi, dicasi “banche”, le quali a loro volta si sono trovate a dover aumentare i tassi per conseguenza della decisione della BCE, FED, BOE, BOJ, ecc.
Le medesime banche hanno altresì dato luogo ad un avvitamento dei criteri di accesso al credito rendendo più complessa l’erogazione di finanziamenti alle imprese.
Queste ultime hanno inoltre dovuto anch’esse subire non indifferenti revisioni dei prezzi al rialzo, sia per quanto attiene le materie prime che le fonti di approvvigionamento energetico.
Conseguenza: le aziende produttive e di servizi hanno “girato”poi la totalità di questi aumentati componenti di costi sui consumatori finali.
Siamo pertanto di fronte ad un’inflazione “da offerta” e non “da domanda” in quanto quest’ultima, per via della difficile congiuntura e del venir meno del potere di acquisto dei consumatori, non si è incrementata; anzi, semmai l’opposto.
Le imprese, le aziende ed in modo particolare quelle grandi, quando non soprattutto le multinazionali, non si sono limitate a quanto precedentemente descritto in termini di aumento dei prezzi, bensì sono andate ben oltre.
Da oltre un anno, infatti, in coincidenza con l’avvio della “campagna inflazionistica” e di aumenti generalizzati, si sta assistendo ad un fenomeno particolarmente grave definito “Shrinkflation”.
La traduzione di tale parola potrebbe essere “Restringimento” (dall’inglese shrink), ma una più appropriata interpretazione ci porta a definire tale termine come “riposizionamento”.
La shrinkflation è una pratica commerciale mediante la quale le aziende riducono “segretamente” le dimensioni o la quantità di un prodotto senza ridurne il prezzo, al fine di mantenere inalterati i margini di profitto. Questo può far sembrare che il prezzo sia rimasto lo stesso, ma in realtà i consumatori ottengono meno prodotto per eguale importo.E’ una tattica usata per mascherare aumento dei costi o per aumentare i profitti senza attirare l’attenzione dei consumatori.
Ad esempio, una confezione di patatine potrebbe diventare leggermente più piccola senza che il prezzo cambi. La shrinklation può suscitare preoccupazione tra i consumatori anche e soprattutto riguardo alla trasparenza delle pratiche commerciali.
E’ possibile, direi più che probabile, che in alcuni casi le aziende adottino una doppia strategia combinando sia la riduzione delle dimensioni della quantità del prodotto (shrinkflation) che un aumento del prezzo.
Questa tattica può comportare un impatto finanziario ancora maggiore sui consumatori, poiché non solo ricevono meno prodotto, ma pagano anche di più per esso (e per averne meno !). Tiuttavia è importante notare che le aziende dovrebbero essere trasparenti nei confronti dei consumatori comunicando prontamente e chiaramente eventuali modifiche ai prodotti, inclusi aumento di prezzo e/o riduzione delle dimensioni del medesimo.
In molti Paesi esistono regolamenti che richiedono questa trasparenza per proteggere i diritti dei consumatori.
Va comunque considerato che non si tratta di una pratica illegale o non adottabile da parte delle varie marche di prodotti.
E’ però d’obbligo che il consumatore finale ne sia informato e possa prenderne conoscenza e “coscienza”.
Sicuramente risulta difficile che possa trattarsi di una pratica moralmente accettabile nel momento in cui è specificamente rivolta ad incrementare i profitti di realtà, in modo precipuo multinazionali, a scapito di consumatori sempre più in difficoltà nel far quadrare i conti della spesa.
Di recente una importante realtà distributiva come Carrefour in Francia ha adottato l’iniziativa di specificare agli utenti, mediante appositi cartoncini sugli scaffali, se un certo prodotto è stato oggetto di “trattamento” Shrinkflation da parte della casa produttrice.
Al contempo il distributore (Carrefour in questo caso appunto) si impegna da parte sua a rinegoziare, o per lo meno a fare un tentativo, il prezzo dello specifico prodotto oggetto di Shrinkflation, con l’azienda d’origine.
E voi, eravate al corrente di questa pratica ? Avete avuto occasione di imbattervi in prodotti con queste caratteristiche ?
Va detto che non sono esenti da queste esecrabili iniziative neanche i giganti della distribuzione “low cost”.
E’ un male che si è insinuato dappertutto e che in qualche modo anche noi consumatori dovremmo contribuire a smantellare mediante scelte più consapevoli e mirate, e facendo in concreto più attenzione a ciò che mettiamo nel carrello.
E’ uno dei “relativi” e modesti poteri di cui disponiamo per riportare le cose almeno un pò al loro posto e dar man forte al tanto auspicato graduale rientro del fenomeno inflattivo.